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SAPERE, SAPER FARE E FARE.


Esiste una sostanziale differenza tra il “sapere”, il “saper fare”ed il “fare”. Chi sa non è detto che sappia fare. E d’altronde chi sa e sa fare non è detto che faccia. In passato nell’era pre-industriale, era facile trovare persone che incarnavano tutte e tre queste competenze. L’artigiano ed il contadino, per esempio, erano persone in grado di curare tutte le fasi per la produzione, rispettivamente, di un manufatto o di un prodotto per nutrirsi, dalla sua ideazione alla realizzazione pratica.

Con l’avvento dell’era industriale e dei consumi il “saper fare” è stato espunto apposta dalla competenza più ampia del “sapere” in modo che la gente non sapendo più auto-prodursi ciò di cui aveva bisogno, era costretto ad acquistarlo dalle aziende di produzione di massa.

La scuola altresì forma lavoratori adatti ad inserirsi in  questo sistema industriale che ha bisogno solo di forza lavoro che compia i compiti singoli di un intero e complesso processo di produzione.

Ma cosa accade in caso di sovrapproduzione? Le aziende sono costrette a ridurre la forza lavoro, immettendo nella società persone che non sanno come sostenersi perché non sono in grado di auto-produrre nulla come era in grado di fare l’artigiano oppure il contadino in passato, e che non hanno più la possibilità economica di acquistare i prodotti dell’industria. Si innesca così la spirale negativa della recessione.

Dopo decenni di disprezzo dei lavori manuali, la mancanza di autonomia derivante dal non saper fare nulla comincia ad essere sentita come un limite, mentre si va riscoprendo l’importanza dei lavori artigianali, che richiedono un collegamento tra le mani e la testa.


Letture consigliate:

L’uomo artigiano, Richard Sennet, Feltrinelli.


Sto leggendo “La felicità sostenibile“, di Maurizio Pallante.

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30/12/2022

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